Cardiologia Riabilitativa in Italia. Intervista a Marco Ambrosetti

L’entrata in vigore del Decreto Ministeriale 5 agosto 2021 e l’avvio della relativa sperimentazione nazionale, a partire dal 1° gennaio 2024, segnano profondamente il mondo della Cardiologia Riabilitativa (CR), come hanno spiegato gli autori di un editoriale pubblicato sul Giornale Italiano di Cardiologia. Parliamo di riabilitazione e delle ripercussioni operative del Decreto con il primo autore dell’editoriale, Marco Ambrosetti, Direttore della Struttura Complessa di Riabilitazione Specialistica Cardiologica dell’Azienda Socio Sanitaria Territoriale (ASST) di Crema e Presidente dell’Associazione Scientifica ITACARE-P (Italian Alliance for Cardiovascular Rehabilitation and Prevention).

Dott. Ambrosetti, cominciamo dalle basi: cos’è la Cardiologia Riabilitativa?

La Cardiologia Riabilitativa è una disciplina della cardiologia, proprio come lo sono, per esempio, l’emodinamica, l’elettrofisiologia o la cardiologia nucleare. Come tale, dovrebbe essere esercitata dallo specialista cardiologo in contesti ospedalieri o ambulatoriali specifici, con determinati requisiti strutturali e di risultato. A livello ministeriale, tuttavia, le attività di Cardiologia Riabilitativa sono incluse nel variegato mondo della riabilitazione specialistica e quindi basate per lo più su metodologie di organizzazione dei servizi più vicine all’ambito neuro-motorio e ortopedico. Questo rappresenta una potenziale criticità per soddisfare i bisogni di salute e riabilitativi del paziente cardiopatico.

Nell’editoriale ci si interroga sul futuro della Cardiologia Riabilitativa in Italia, in riferimento all’avvio di una sperimentazione nazionale partita il primo gennaio. Di cosa si tratta?

Nell’agosto del 2021 è stato emanato un Decreto Ministeriale (DM) per il riordino delle attività riabilitative degenziali, diventato esecutivo nel 2023 ed entrato formalmente in vigore il 1° gennaio 2024 sotto forma di sperimentazione coinvolgente per il momento solo alcune Regioni (quelle in cui l’attività riabilitativa è più diffusa). La sperimentazione riguarda una nuova modalità di valutazione dell’appropriatezza e della complessità dell’intervento, mediante l’utilizzo di una scheda di dimissione ospedaliera e di scale di valutazione ad hoc.

La revisione normativa è frutto di un tavolo di lavoro ministeriale nel quale sono confluiti massimi esperti del mondo della medicina fisica e riabilitativa. Purtroppo, la ridotta – per non dire quasi assente – partecipazione in questa fase consultiva di cardiologi e soprattutto di cardiologi riabilitatori ha inevitabilmente portato a definizioni operative che poco si addicono all’attuale realtà clinica ed epidemiologica del paziente cardiopatico in riabilitazione.

Quali sono le criticità che individuate, anche nell’editoriale, nella riabilitazione del paziente cardiologico con l’applicazione della norma?

Sicuramente le procedure e le valutazioni non tengono conto dei reali elementi di complessità del paziente cardiologico. Nell’editoriale portiamo degli esempi concreti, come quello piuttosto frequente di un paziente in esiti di sindrome coronarica acuta, con severa disfunzione ventricolare sinistra ed eventualmente candidato all’impianto di defibrillatore automatico. Un paziente del genere necessita un’attenta supervisione specialistica cardiologica, un programma di esercizio fisico estremamente individualizzato, una significativa modifica dello stile di vita e un valido supporto psicologico, venendo quindi sicuramente catalogato come complesso dal punto di vista cardiovascolare. Tuttavia, se fotografato con le procedure valutative del nuovo decreto, essenzialmente focalizzato sull’aspetto motorio, per il fatto di essere magari eupnoico, autonomo e orientato verrebbe catalogato – e conseguentemente remunerato – come a bassa complessità.

E quindi, per rispondere alla domanda con cui titolate l’editoriale: ci ritroviamo ad avere una Cardiologia Riabilitativa, sempre più vicina o sempre più lontana dal mondo cardiologico?

Sicuramente sempre più vicina per quei dettami della nuova normativa che impongono per esempio un’adeguata tempistica di presa in carico della riabilitazione e per la conseguente necessità, quindi, che ci sia un legame sempre più stretto tra struttura cardiologica per acuti e struttura cardiologica riabilitativa.

Dall’altro punto di vista però è più lontana, perché la normativa ci ingessa, come Cardiologia Riabilitativa, su valutazioni sanitarie e su procedure più di tipo fisiatrico. Ad esempio, la nuova scheda di dimissione ospedaliera riabilitativa (SDO-R) presenta una codifica basata più sulla sindrome funzionale e sulla presenza di menomazione e disabilità, meno sulla diagnosi eziologica, cardiologica. Non è unicamente una questione di diversa retribuzione: in ambito cardiologico riabilitare vuole dire anche ridurre il rischio di recidiva di malattia e migliorare la prognosi a distanza, ovvero effettuare un’efficace prevenzione cardiovascolare.

Ne possono conseguire quindi anche ripercussioni dal punto di vista economico?

È possibile. Nel momento in cui la Cardiologia Riabilitativa dovesse, alla luce della fase sperimentale in corso, fotografarsi come un setting di cure a minore complessità rispetto a quanto effettivamente svolto, le strategie degli erogatori potrebbero cambiare. Vedo ad esempio un concreto rischio di minimizzazione dei costi o di rinuncia a investimenti e innovazione, ad esempio nel campo della telemedicina. Ciò porterebbe a un depotenziamento delle attività, con inevitabili ripercussioni sullo stato di salute della popolazione. Ricordiamo che stiamo parlando pur sempre di malattie cardiovascolari, ovvero della prima causa di mortalità e ospedalizzazione in Italia.

Come suggerisce di agire per valorizzare la complessità del paziente cardiologico in sede riabilitativa?

In prima battuta riconoscendo a ogni livello che la Cardiologia Riabilitativa, per strutture e posti letto, rappresenta circa un quinto dell’intera offerta di cure cardiologiche in Italia – come documentato dal recente censimento condotto da ANMCO e pubblicato a febbraio dal Giornale Italiano di Cardiologia – e che questo patrimonio di cultura e professionisti non va disperso. Il livello delle Istituzioni è fondamentale ed è per questo che ITACARE-P ha recentemente realizzato il 18 aprile 2024 un evento ufficiale presso il Senato della Repubblica, nel quale è stata portata la voce della Cardiologia Riabilitativa italiana.

Nella pratica quotidiana, poi, esorterei veramente coloro che lavorano in Cardiologia Riabilitativa e i cardiologi dell’acuto a informarsi sull’evoluzione normativa e a dialogare maggiormente tra loro, nello spirito di una reale unità della cardiologia. Un lineare e appropriato percorso del paziente nella transizione tra acuto, riabilitazione e territorio costituirebbe in questo senso un efficace indicatore operativo.

Infine, per noi cardiologi riabilitatori, un richiamo a mettere in atto i dettami operativi di questo decreto nella maniera più razionale e più critica possibile, evitando superficialità che rischiano di ridurre la valorizzazione delle prestazioni erogate. Una guida in tal senso è rappresentata dal “Manifesto ITACARE-P”, strumento pratico realizzato da chi opera sul campo per chi opera sul campo, aperto e arricchito dalle esperienze di utilizzo che si stanno via via accumulando.

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